L'amore al tempo di Giancarlo Siani

L’amore al tempo di Giancarlo Siani

Quando ho terminato il libro “NA K14314. Le strade della Méhari di Giancarlo Siani”, pubblicato per la Alessandro Polidoro Editore, nell’epilogo ho scritto:

«Di solito, quando un lavoro di scrittura è terminato, si scrive FINE. Qui, no! Qui termino il mio racconto di un viaggio emozionante. Ora tocca ad altri proseguire. Scrivere altre parole. Cogliere altre emozioni. Qui l’imperativo è continuare a percorrere le strade della Méhari. Proseguire il viaggio. Non fermarsi. Non fermarsi neanche davanti ai dubbi e alle zone d’ombra. Continuare a diradare le nubi, a cercare la verità. Non importa chi sale su questa spiaggina. L’importante è che chi metterà le mani su questo sterzo, le metta con la consapevolezza di far camminare un messaggio, la passione di un’idea. Un’idea di libertà.»

Ecco, quindi, che a cinque mesi dalla pubblicazione del libro, ci apprestiamo ad un’altra tappa del viaggio, a cogliere altre emozioni. Ve la racconto.

L’amore al tempo di Giancarlo Siani correva, per le vie tortuose della penisola Sorrentina, su una Citroen Méhari verde. Le strade di Vico Equense. Così, per ricordarlo, con la sua Méhari, siamo ritornati proprio lì, nel posto dove correva l’amore tra Giancarlo Siani e Daniela Rossignaud. Sono stati tre giorni intensi quelli trascorsi in quella magnifica cittadina arrampicata sulla costiera, dove, dal 19 - data in cui Giancarlo Siani avrebbe compiuto cinquantanove anni - al 21 settembre, ancora una volta, ho condotto la sua Méhari lungo le strade della splendida cittadina della penisola Sorrentina. Qui Giancarlo aveva conosciuto Daniela. Qui si erano innamorati. Qui, dove la vita è un tutt’uno con il mare, tornava quando poteva. In questi luoghi ha certamente vissuto i momenti più belli della sua vita. Su quella Méhari, al lento fruscio delle onde sugli scogli, si sono amati, si sono fatte promesse, si sono vuluti.

In questi tre giorni, per la verità quattro, perché con la Méhari siamo partiti il giorno prima, sono accadute tante cose, ma rientrando a casa porto con me il ricordo e l’affetto di tante persone. Soprattutto di quelle persone “semplici” (proprio come nell’accezione Pasoliniana), quelle che fanno le cose, che si tirano su le maniche della camicia, che quando è necessario si danno da fare. Sono i ragazzi (alcuni non più tanto ragazzi) e le ragazze dell’Associazione Nazionale Carabinieri, Sezione Sorrento Sant’Agnello e del giovane calciatore Raffaele D’Urso, che durante la tappa della Méhari a Vico Equense, insieme all’auto di Giancarlo, mi hanno letteralmente adottato.

La sfida con la memoria di Vico Equense è finita e sono rientrato a casa. Faccio appena in tempo a varcare l’uscio che il suono del cellulare mi avvisa che è arrivato un messaggio. Apro e leggo. Leggo questo:

«Caro Paolo, ho cercato con cura il modo giusto e la frase giusta per non rischiare di essere banale, di essere scontato, di essere "povero" d'innanzi a tanta ricchezza. A tanta grandezza. Ho cercato di pensare quale potesse essere il modo migliore o la frase migliore che potesse racchiudere non solo questi giorni, ma anche e soprattutto la tua persona e l'incontro con te!

Ma mi ritrovo alquanto imbarazzato, per motivi che non conosco, ed allo stesso tempo tanto emozionato, senza averla, senza averla questa frase giusta e senza avere questo modo giusto, ma avendo soltanto e semplicemente un piccolo cuore, il mio, che cerca di raccontarti e dirti la bellezza, l'emozione, la gratitudine nell'aver conosciuto te...

Conosciuto, forse, è una parola grossa. Lo so.

Conoscere una persona è sapere di lei tante cose. Tutte, forse.

Ed io, di te, forse non conosco nulla, se non che sei un ex elicotterista, che sei uno scrittore appassionato e che ami quella Méhari verde come fosse il regalo più bello che ti potessero fare. Al termine di questi tre giorni, sei la "figura" che più mi è entrata nel cuore!

Non si tratta solo dell'incredulità di aver condiviso esperienze, tempo, caffè e pensieri con una persona "importante", (e lo metto tra virgolette perché, se un po' ho imparato a capirti, non ti senti o ritieni tale), ma si tratta di ciò che mi hai trasmesso e donato, tante volte anche senza saperlo, che sono e restano per me un dono prezioso. Che sono e restano per me la pillola giusta e bella per provarci, forse fallendo, ma provarci almeno, a rendere questa vita, la mia vita, minimamente fertile. A non lasciarla cadere nell'oblio senza dargli un'impronta, rendendola invece vuota ed insensata.

La spinta di cui avevo bisogno per tentare tanti tentativi... Di ogni tipo, in ogni modo, all'inseguimento di obiettivi, di sogni, del bene!

Quella Mehari verde, Giancarlo e te, siete arrivati tutto d'un tratto, senza che io me lo aspettassi, ed ora, andando via, avete "conquistato", anzi, occupato, una parte del mio cuore, neanche tanto piccola!

Grazie Paolo. Grazie per questi tre giorni. Grazie per la tua presenza. Grazie per la tua persona che, senza dubbio, non dimenticherò!

In attesa di poterti raccontare delle pagine che leggerò dei tuoi libri e di aggiornarti sul percorso universitario che intraprenderò, tenendo fede alla promessa che ti ho fatto, ti lascio semplicemente la mia gratitudine, la mia emozione, il mio cuore, che è poco, ma è tutto!»

Finito di leggere rimango stupefatto. Ecco, se nei giorni che sono stato a Vico Equense avessi sortito solo queste parole, queste sensazioni, questi sentimenti, queste emozioni, sarei già di per sé soddisfatto. Meglio di così il giovane Raffaele non poteva ringraziarmi e ne sono davvero lusingato. Raffaele è un ragazzo che ha appena conseguito la maturità ed è anche un bravo calciatore. Indeciso se e quali studi universitari intraprendere. Durante questi tre giorni a Vico sono riuscito a strappargli la promessa che non importa in quale indirizzo, ma continuerà negli studi. Potrebbe bastare solo questo emozionante commento di un giovane che - come dice lui - conosco appena e la sua promessa, a raccontare il mio soggiorno a Vico, ma andiamo con ordine.

A Vico Equense, ho detto, Giancarlo aveva incontrato Daniela e si erano amati. Poi le cose sono andate come sono andate e Daniela è scomparsa. È scomparsa dalle scene. È scomparsa dalle commemorazioni annuali e dalle passerelle. È scomparsa più o meno dal giorno dei funerali, quando la gente presente applaudiva, ma lei non riusciva a spiegarsi perché le persone applaudono quando uno muore. Dolore intimo e di anno in anno rinnovato. Da poco tempo, purtroppo, Daniela è scomparsa anche dalla vita. Da questa vita e forse, per chi crede, si sarà anche ritrovata con Giancarlo, il ragazzo che aveva amato.

A Vico Equense c’è un amico di Giancarlo Siani, Antonio Irlando (a me viene meglio chiamarlo solo Irlando e lui me lo concede). Antonio ha sposato la sorella di Daniela, anche lei amica del giovane cronista. La storia di Giancarlo Siani ed il breve periodo tra lui e Daniela non sono stati dimenticati dall’amico. Qualcosa per ricordarlo nel paese dove trascorreva i suoi momenti felici andava fatto. Così Antonio si fa promotore di una richiesta, che per la verità viene dal basso, dalle scuole di Vico Equense, dagli alunni con la loro preside: intitolare a Giancarlo Siani la piazza principale del paese rivierasco, quella che dà proprio sulla facciata della casa comunale. Così nasce il progetto, il comune delibera, non solo l’intitolazione della piazza, ma anche la realizzazione di un monumento a Giancarlo da collocare proprio nella piazza che a lui sarà intitolata. Qualche altro soggetto collabora concretamente al sostegno delle spese e così si organizza una iniziativa pubblica alla quale vengono invitati i familiari di Giancarlo, gli amici di un tempo ed il Presidente della Camera dei Deputati in carica, l’Onorevole Roberto Fico. Poteva mancare la sua Méhari a questo importante appuntamento? Proprio no! Ed allora a condurla, ancora una volta, vengo chiamato io. E, quindi, eccomi qui sul carro attrezzi che dal Palazzo delle Arti di Napoli trasporta la Méhari a Vico Equense.

Ad organizzare il tutto c’è Antonio Irlando, che in fatto di organizzazione è un vulcano. Le idee, quando si tratta della Méhari del suo amico che, se qualcuno non lo avesse ammazzato, probabilmente sarebbe diventato anche suo cognato, ad Irlando vengono così spontanee. Raggiungere la penisola sorrentina da Napoli è solitamente un problema per chi viaggia in auto. Dopo il tragico crollo del Ponte Morandi di Genova e con l’improvvisa psicosi che ha preso gli italiani per i ponti che crollano, anche un ponte lungo il percorso che porta a Vico Equense è stato chiuso al traffico. Ragion per cui il tempo per raggiugere la costiera si è praticamente raddoppiato. Ed allora ecco che sorge la necessità di fare un percorso alternativo. Così, Irlando pensa che seguendo il percorso alternativo, il carro attrezzi con la Méhari dovrà passare proprio davanti alla caserma dei Carabinieri di Torre Annunziata, dove lui e l’amico si recavano per avere notizie. Lì c’era un giovane capitano con il quale avevano un buon rapporto e, passando da lui, sempre qualcosa in più riuscivano a sapere. E, sempre, seguendo il percorso alternativo, Irlando sa che l’auto si troverà a passare proprio davanti alla sede del quotidiano Metropolis, i cui giovani giornalisti precari sono stati più volte posti nel mirino dei camorristi con minacce di ogni tipo. E poi c’è il comune di Castellammare di Stabia, dove Marco Risi girò la scena del consiglio comunale, dove Libero Di Rienzo, magistralmente interpretando il giornalista, faceva domande scomode al sindaco corrotto. Qui a Castellammare, al tempo di Giancarlo Siani, c’era la redazione distaccata de Il Mattino, che faceva parte dell’abituale “giro” del cronista, prima di raggiungere Daniela a Vico Equense.

Tre tappe improvvisate, tre luoghi simbolo e carichi di significato. Cosi all’uscita dell’autostrada di Torre Annunziata, Irlando arriva a bordo di un’auto dell’Associazione Nazionale Carabinieri della sezione di Vico Equense e due simpatici ex carabinieri, uno dei quali amico di Giancarlo, l’affabile Andrea Buonocore. Brevi convenevoli e appena ci raggiunge una radiomobile dei Carabinieri di Torre Annunziata, partiamo alla volta della caserma dove Giancarlo di solito parcheggiava la sua Méhari e si intratteneva con gli investigatori. Arrivati davanti alla caserma, ad attenderci commossi ci sono tutti, ma proprio tutti i carabinieri in servizio, con in testa il colonnello Filippo Melchiorre, una persona dai modi gentili ed affabili, che nell’accoglierci e salutarci si preoccupa di non creare disagio ai cittadini, dato che intorno alla Méhari si sta per formare un piccolo ingorgo. La sosta dai Carabinieri dura poco, ma era doveroso esserci. Se Giancarlo fosse ancora a Torre Annunziata, questo luogo avrebbe continuato ad essere per lui un luogo familiare e i giovani carabinieri i suoi amici.

Poi il viaggio continua. Continua lungo le strade di Torre Annunziata dove questa auto ha qualcosa di familiare ed ho la netta sensazione, mentre affacciato al finestrino del carro attrezzi, osservo ed ascolto i commenti delle persone sui marciapiedi, che quell’auto la riconoscano. Qualcuno, guardando stupefatto lo dice: «Questa è la Méhari del giornalista!». Poi, lungo una strada ai cui lati sfilano veloci i caseggiati di vario degrado, arriviamo in una zona industriale, davanti ad un grande capannone a più piani. Entriamo nel cortile e davanti a noi si presenta un gruppo di giovani. Sono i ragazzi di tutta la redazione di Metropoli che – incurante del fatto che quello sia l’orario in cui un giornale si costruisce – è scesa, con il direttore in testa, ad accogliere la Méhari di un ragazzo come loro, senza diritti e senza futuro, ma con una grande passione. Sono scesi a guardare tra quei sedili neri piegati verso il passato, perché, come scriveranno il giorno dopo Ciro Formisano e Salvatore Dare, il mestiere che Giancarlo e loro hanno scelto, se fatto bene, è un mestiere maledettamente pericoloso, che ti fa incontrare molti nemici veri e pochi amici sinceri. Foto di rito, qualche scambio di battute, qualche domanda sul ritrovamento della Méhari, gli occhi quasi lucidi dei ragazzi del giornale.

Poi la Méhari riparte, per arrivare, con non poche polemiche del giorno dopo, davanti allo storico palazzo comunale di Castellammare di Stabia, dove ad attenderla c’è l’intera giunta comunale con il sindaco in fascia tricolore, che pronuncia parole che difficilmente sono sulla bocca di un sindaco: «Castellammare di Stabbia non è scevra dalla camorra». Non sapevo, non lo so ancora, non ho voluto informarmi sul colore politico dell’amministrazione comunale di Castellammare. Mi sono bastate le poche parole del sindaco a riporre fiducia – per quanto poco valga la mia fiducia -nell’operato della sua giunta e ritenere giusto ed importante essere passati da qui con questo simbolo che richiama ad un impegno serio e concreto. Spero di non essere smentito.

Percorrendo la tortuosa, frastagliata e suggestiva costa della penisola Sorrentina, giungiamo a Vico Equense. L’auto dei carabinieri che ci scorta si ferma davanti ad un elegante albergo. È l’hotel Aequa, di proprietà, oggi come allora, della famiglia di Daniela, la giovane fidanzata di Giancarlo. È questo il luogo dove, al tempo di Giancarlo Siani, approdava la sua Méhari. Un breve, discreto colpo di clacson e immagino Daniela corrergli incontro e poi via, capelli al vento, per le ripide e strette stradine su una costa dal panorama mozzafiato.

Ad attenderci c’è un gruppetto di persone. Tra loro il sindaco. Irlando fa gli onori di casa. Poi nel garage dell’albergo c’è un posto lasciato libero per la Méhari. Irlando ed io ci intratteniamo in una piacevole serata a discutere e a farci domande. Alcune delle quali ancora aperte, senza risposta.

La mattina successiva è il 19 settembre, proprio il giorno in cui Giancarlo Siani avrebbe compiuto cinquantanove anni. La Méhari, scortata dai vigili urbani di Vico Equense e dai volontari dell’associazione nazionale carabinieri, viene condotta sul sagrato della chiesa dei Santissimi Ciro e Giovanni, dove si tiene una celebrazione liturgica. Terminata l’orazione religiosa, a rendere omaggio alla memoria di Giancarlo Siani è la fanfara dell’Arma dei carabinieri che - abbandonando il solito repertorio, intona “Ogni volta”, la celebre canzone di Vasco Rossi, che pare stesse molto a cuore al giovane giornalista massacrato dalla camorra - dà il via al lungo corteo che dalla piazza Santissimi Ciro e Paolo si snoda lungo le vie della città, per giungere a piazza Kennedy, davanti alla sede del comune. L’auto, seguendo le melodie della fanfara, si muove lentamente tra due ali di centinaia di ragazzi, vestiti di bianco e assiepati lungo i marciapiedi. Tra gli applausi e lo sventolio di bandierine e pon-pon colorati, giunge, così, nel piazzale che il giorno dopo sarà intitolato a Giancarlo Siani. Qui la Méhari viene adagiata, come una reliquia, in un angolo, i ragazzi riempiono la piazza, mentre dal palco si susseguono i diversi oratori. Comincia così l’omaggio della città di Vico Equense, che per il giovane cronista era la sua seconda casa.

Ci sono libri scritti su Giancarlo Siani. Tanti libri. Ci sono soprattutto i suoi importanti scritti, opportunamente pubblicati1, ripubblicati2 e distribuiti da un editore, il quale ha anche ristampato stralci di altri libri3 e ripubblicato gli articoli di stampa pubblicati nel corso degli ultimi trent’anni su Giancarlo Siani4. Sono, queste pubblicazioni, monumenti alla memoria ed all’opera di Giancarlo Siani. Ci sono libri sul nostro cronista dal tempo breve molto interessanti. Altri molto meno. E poi ci sono altri libri. Romanzi, scritti bene che, per la natura del loro genere, sono inventati. Così nel pomeriggio, in una sala del comune di Vico Equense, si discute di uno di questi libri: Un ragazzo normale di Lorenzo Marone, edito da Feltrinelli. Lorenzo Marone, l’ho detto in più di una occasione, è un bravo scrittore di romanzi e come tale inventa storie e nel suo libro di tanto in tanto viene tratteggiata la figura di un Giancarlo Siani intento a colloquiare e a dare consigli ad un adolescente un po’ fuori dal normale. Un altro libro di fantasia, un altro modo, per rendere omaggio – non so quanto convincentemente - alla sua memoria, attraverso la scrittura. Il libro in questione, qualche giorno dopo, riceverà anche il premio Giancarlo Siani 2018.

Terminata questa prima giornata a Vico Equense, ci prepariamo ad attendere il dibattito del giorno dopo sulla libertà di stampa, nell’ambito del quale si svolgerà la prima edizione del Premio “Giancarlo Siani, uno di noi” al quale parteciperanno degli ospiti d’eccezione, tra i quali Paolo Borrometi, il giovane giornalista siciliano minacciato di morte dalla mafia, lo stesso fratello di Giancarlo, Poalo Siani e Gabriele Sensales, il generale dei carabinieri in pensione, che al tempo di Giancarlo Siani era il capitano della compagnia dei carabinieri di Torre annunziata.

È il pomeriggio del 20 settembre. Mancano poche ore all’appuntamento del premio e gli ospiti invitati si radunano alla spicciolata presso l’elegante giardino con il patio sul mare dell’Hotel Aequa. Quando arrivo trovo intorno ad un tavolo rotondo un gruppetto di persone intente a chiacchierare. Tra loro Paolo Siani, la sua consorte Carmen, l’amico Antonio Irlando. Tra loro riconosco la giornalista Daniela De Crescenzo de Il Mattino, lo stesso giornale di Siani, intenta a fare domande ad un signore un po’ avanti con l’età, barba incolta ed un accento che ancora non tradisce le sue origini salentine. Noi salentini siamo così, non perdiamo, nonostante viviamo altrove, la cadenza di una lingua antica. È il generale Gabriele Sensales, che io non conoscevo, se non per la sua fama. Per non essere indiscreto, trattandosi di un colloquio tra i parenti più stretti di Giancarlo Siani e quello che fu il suo amico carabiniere fidato, mi defilo e mi metto a sedere ad un altro tavolo dove ci sono altre persone che nel frattempo avevo conosciuto. Nonostante la mia posizione sia sufficientemente distante dal tavolo della giornalista che intervistava, la voce marcata del generale Sensales giunge nitida anche al nostro tavolo. Parole dure le sue. Rivelazioni importanti che sollevano dubbi sull’inchiesta giudiziaria. Sono parole che in qualche modo danno conferma ad alcuni dei tanti interrogativi che nel mio libro ho messo in evidenza. Ne sono quasi imbarazzato, se non lusingato. Sono parole che il Generale Sensales, oramai in pensione, ribadirà con altrettanta fermezza anche più tardi quando prenderà la parola al dibattito in programma. Sono parole esplosive che il giorno dopo conquistano spazi molto importante sui quotidiani e sullo stesso giornale dove “lavorava” Giancarlo Siani e per il quale continua a scrivere la giornalista Daniela De Crescenzo.

Il giorno dopo, quindi in un articolo a tutta pagina su Il Mattino, Daniela De Crescenzo riporta le dirompenti dichiarazioni del Generale in pensione. Riporto alcuni passi che ritengo più significativi5:

«Prima di essere ammazzato Giancarlo Siani era preoccupato. A metterlo in agitazione erano le pressioni del pretore Gargiulo. A Torre Annunziata la situazione era drammatica, in cinque anni nel mio territorio c’erano stati 140 morti. Il sindaco Bertone ed il pretore erano in concorrenza per la gestione degli affari illeciti in combutta con il clan Gionta, c’era stata la strage del circolo dei pescatori con otto morti […] Poi morì Giancarlo e il pretore interpretò il delitto come un avvertimento nei suoi confronti. Dopo la morte di Siani sono stato convocato ed al procuratore Aldo Vessia ho raccontato tutto. pochi mesi dopo sono stato trasferito a Firenze […]».

Poi, il Generale, rispondendo alle domande della giornalista, aggiunge:

«[…] Avevo indagato e quindi sapevo che il pretore e il sindaco si contendevano certi affari. Il pretore aveva parlato a Giancarlo del primo cittadino sollecitandolo a pubblicare inchieste su di lui. Il giornalista ne diffidava ed era preoccupato delle sue continue insistenze. Ma Gargiulo ci teneva a far sapere di essere in contatto con lui. Chiudendo la bocca a Siani avevano effettivamente mandato un messaggio. […] Ero sicuro che il delitto fosse maturato a Torre Annunziata dove il clima era tesissimo e che dietro ci fossero clan e istituzioni che si contendevano il territorio. Lo dissi al procuratore Vessia […] e qualche giorno dopo fui trasferito […]».

Daniela De Crescenzo, però, sa bene che la vicenda giudiziaria di Siani è chiusa. Chiusa con una sentenza passata in giudicato e che in carcere, condannati all’ergastolo, ci sono esecutori materiali e mandanti. Quindi non può non chiedere al fiume in piena di un generale, che forse ora non ha più nulla da perdere:

«Secondo una sentenza passata in giudicato Siani è stato ammazzato per aver scritto che Nuvoletta avrebbe venduto Gionta. Non è andata così?».

L’energico generale risponde così:

«Non dico questo. Semplicemente credo che nel delitto le vicende di Torre Annunziata abbiano avuto un peso determinante che, come ha del resto sostenuto anche il pm Armando D’Alterio, non è mai stato del tutto chiarito. Ad esempio, dopo il delitto fu arrestato Alfonso Agnello, un fiancheggiatore dei Gionta. Rimase in carcere dieci giorni poi fu scagionato grazie ad una contravvenzione fatta da un altro parente dei Gionta. Per dieci giorni in galera non ne aveva mai parlato. L’ennesima vicenda inquietante».

Anche altre testate, non molte per la verità, titolano e narrano con lo stesso tenore le rivelazioni del generale in pensione e, a quanto pare, un tempo, quando era solo un capitano dei carabinieri della compagnia di Torre Annunziata, anche amico di Giancarlo Siani.6

L’allora capitano della compagnia dei carabinieri di Torre Annunziata, non crede all’ipotesi che il giornalista sia stato ucciso per via di quell’articolo del 10 giugno del 1985, dove ipotizzava il tradimento dei Nuvoletta contro i Gionta. Non ci crede ed il giornalista Vincenzo Sbrizzi di Napoli Today, il giorno 21 settembre 2018, riportando le sue dichiarazioni, così titolerà: «Giancarlo Siani non fu ammazzato dai Nuvoletta». Nell’articolo si legge chiaramente:

«Giancarlo aveva fatto un’ipotesi, così come capita spesso ai giornalisti. Anche gli investigatori ne fanno eppure non vengono ammazzati […]. Allora bisogna ammazzare tutti quelli che fanno ipotesi investigative? […]. L’omicidio di Siani è partito da Torre Annunziata e nulla centrano i Nuvoletta».7

Dello stesso tenore, l’articolo di Regina Ada Scarico, pubblicato su Cronache della Campania del 21 settembre del 2018.8

Quelle del generale, come abbiamo visto, non sono affermazioni di poco conto. Il loro contenuto è dirompente. Tanto dirompente, che avrebbero richiesto un approfondimento maggiore nei giorni successivi. Sono dichiarazioni che, seppur a distanza di trentatré anni, chiamano in causa magistrati, politici, camorristi, parenti di camorristi, imputati assolti, confutano alibi e risultanze giudiziarie acclarate con sentenze passate in giudicato. E invece, niente, tutti zitti! Le pesanti parole del generale sono scivolate via come scivola l’acqua in un torrente. Nessuno che abbia sentito l’esigenza, almeno pubblicamente, di approfondire. Silenzio! Silenzio assordante. Sul caso Siani pare sia complicato approfondire. Fare domande. E poi, credo sia giusto avere fiducia nelle istituzioni, anche se sono altrettanto convinto che, in questo Paese, sia legittimo non condividere le conclusioni dei magistrati e che sia necessario continuare a dibattere e a farsi domande. Invece, su questa questione sono in pochi a farlo. Sulle esplosive dichiarazioni del generale è rimasto silente anche tutto quel mondo cosiddetto impegnato su certi temi della lotta alla mafia. E che dire sul silenzio di coloro che sono stati chiamati direttamente in causa dal generale? Il pretore Gargiulo, passato a miglior vita da qualche anno, per esempio, avrà pure dei familiari? Se li ha, perché non chiedono conto di affermazioni tanto gravi? Lo hanno fatto? Non sappiamo. Sui giornali non compare neanche la reazione dei magistrati che hanno emesso le sentenze di condanna e di assoluzione, anche se comprendo molto bene che per loro il miglior modo di reagire è l’applicazione della legge, che non si mette – o perlomeno non si dovrebbe mettere - sui giornali, se non a conclusione del lavoro. Staremo a vedere, perché oggi a sostenere che il caso Siani non è ancora chiuso è tornato a ribadirlo un personaggio che, per quanto in pensione, ha avuto un ruolo importante nella vicenda.

Giungiamo, così, alla mattina del 21 settembre. Piazza Kennedy è stata bonificata dagli artificieri delle forze dell’ordine. Sono attesi il presidente della Camera dei Deputati, Onorevole Roberto Fico e Paolo Siani, che da poco ricopre la carica di Deputato della Repubblica. Di buon’ora la Méhari è stata collocata sulla pedana inclinata che il comune ha fatto realizzare per l’occasione. L'avvenimento è di quelli importanti. Al mattino presto l’artista che ha realizzato il monumento con l’immagine di Giancarlo Siani, insieme all’amico Antonio Irlando, lavora alla sua installazione. Pian piano in piazza arrivano tutti, quelli che contano e quelli che contano di meno (anche se io penso che siano più importanti i secondi). Non manca neanche chi, passando da lì, non pensi che sia davvero troppo erigere un monumento all’attore comico, che si è dato il nome “Siani”, mentre è ancora in vita. Povero lui!

La manifestazione si svolge in maniera sobria e pesano le affermazioni del presidente della Camera dei Deputati, quando, tra l’altro, dice di non poter più vivere nella città delle stese. Paolo Siani, intervenendo, oltre a garantire un suo impegno affinché venga varata una legge sulla libertà di stampa, definisce importante la scelta fatta dal comune di Vico Equense, perché dedicare uno spazio al fratello significa scegliere la legalità, significa fare un patto impegnativo. Un patto che non potrà essere trasgredito.

Finisce così, tra applausi, strette di mano e fotografie, la tappa della Méhari a Vico Equense, ma non posso non sottolineare l’emozione dell’amico Antonio Irlando, quando al momento di caricare la Méhari sul carro attrezzi per fare rientro a Napoli, commosso, dice: «Ciao Méhari», che è stato certamente un «Ciao Giancarlo».

* * *

L’ultima tappa di questo viaggio con la Méhari è terminato, ma resta un’appendice, la cui eco la leggiamo sul giornale con il quale Siani collaborava.

Da più di un’altra parte ho sostenuto che negli anni c’è stata una certa appropriazione indebita della figura di Giancarlo Siani. Ne sono convinto e l’ho scritto, senza temere di farmi nemici. Nemici veri, anche questa volta. Al termine di questa tappa della Méhari, ecco che se ne presenta, a mio avviso, un altro, di episodio che dimostra con quanta disinvoltura si utilizza la questione Siani. È ormai noto che a pochi giorni dalla consueta settimana di iniziative in memoria di Giancarlo Siani, il suo giornale, non con poche polemiche, ha cambiato sede, trasferendosi dallo storico palazzo di via Chiatamone in uno dei grattacieli del Centro Direzionale. Nella vecchia sede un’aula era dedicata a giovane giornalista, dove oltre alle consuete riunioni di redazione, ogni anno si teneva il Premio a lui dedicato. Così, anche nella nuova sede non poteva mancare un richiamo al giornalista che, con il tempo che c’è voluto, è forse divenuto il cronista più famoso del giornale. La mattina di venerdì 21 settembre, alla presenza della terza carica dello Stato, l’On. Roberto Fico e del fratello Paolo, nella nuova sede del giornale è stata scoperta una targa in sua memoria. Tutto molto bello, tutto molto significativo, anche se io rimango convinto che monumenti, lapidi e cippi non sono il miglior modo per rendere giustizia a chi muore. Tutto molto bello, se non fosse che dopo sei giorni dalla scopertura della lapide, sullo stesso giornale Il Mattino, leggiamo una piccata nota a firma di Francesco Gaetano Caltagirone, con la quale si dice rammaricato per non essere stato informato della circostanza. Ma chi è Francesco Gaetano Caltagirone? Ve lo dico io. Questa persona è il proprietario del giornale in questione e mi pare logico che dichiari tutto il rammarico suo e della figlia Azzurra, per non essere stati informati.

Egregio Direttore,

sabato scorso, leggendo Il Mattino, ho appreso che venerdì è stata scoperta una targa in memoria di Giancarlo Siani.

Per qualche incomprensibile contrattempo né io né mia figlia Azzurra siamo stati avvertiti.

Mi rammarico molto per non aver partecipato ad un evento così significativo.

Le chiedo la pubblicazione di questa mia lettera sul nostro quotidiano perché mi dispiacerebbe che l’assenza mia e di mia figlia possa essere interpretata dalla redazione, dai lettori e da tutto il mondo de Il Mattino come disinteresse o addirittura disapprovazione.

Infine, non le nascondo che se ne avessi avuto conoscenza a tempo debito avrei suggerito qualcosa di più intimo e meno spettacolare.

Penso che Il Mattino avrebbe dovuto ricordare ai lettori la storia di Giancarlo Siani con uno spazio adeguato sul giornale.

Ritengo, infatti, lui ed il suo sacrificio gli unici protagonisti della cerimonia di venerdì scorso.9

Su un aspetto sono perfettamente d’accordo con il Signor Caltagirone e cioè quella della necessità di organizzare cerimonie meno spettacolari, quando si tratta di commemorare persone che hanno lasciato un segno indelebile nelle coscienze delle persone, perché è proprio vero che “più passa il tempo e più teatralizziamo ogni cosa della nostra esistenza”.

Sono convinto, con il mio amico Brizio Montinaro (fratello di Antonio, il caposcorta del giudice Falcone), che più passa il tempo e più ci allontaniamo dalle cose vere, concrete, che hanno un peso materiale. Poi la raffinatezza delle parole, tante parole, per non dire nulla. Spesso è tutta una parata. Una parata come il vestito della festa della povera gente, quel vestito vero per un giorno a nascondere un’altra verità, quella degli altri trecentosessantaquattro giorni dell’anno, salvo qualche altra domenica di festa, a nascondere la fame e la fatica del vivere e della ricerca della verità.

Però, torniamo alla lettera del proprietario de Il Mattino che, ripeto, in parte condivido. Leggendola, però, mi pongo delle domande. Giancarlo Siani è stato ucciso trentatré anni fa ed è da parecchi anni che il giornale di cui è proprietario organizza annualmente iniziative di memoria del suo cronista più o meno simili a quella del 21 settembre. Io ho partecipato a quasi tutte. Non so da quanti anni il signor Caltagirone sia il proprietario di questa testata e, per la verità – ma forse mi sbaglio - non l’ho mai visto partecipare a nessuna di queste. Forse saranno state troppo spettacolari? Oppure anche gli scorsi anni non è stato informato dai direttori di turno? Perché solo quest’anno ha avvertito l’esigenza di sottolineare la mancata informazione? Perché solo quest’anno ha sentito la necessità di richiamare ad un minore clamore delle iniziative di memoria? Forse perché quest’anno alle celebrazioni è intervenuta la terza carica dello Stato? O forse ancora, perché quest’anno il fratello del giornalista riveste una carica nel parlamento italiano? Sicuramente nulla di tutto ciò. Sono convinto che il proprietario de Il Mattino, così come scrive nella lettera al suo direttore, sia davvero animato dalle più belle e buone intenzioni. Per sapere, però, se davvero quello che ha scritto lo vuole realizzare, dobbiamo aspettare la prossima ricorrenza, che non ricadrà di domenica e, quindi, non sarà necessario il vestito buono.

C O N T I N U A

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N O T E
1 Raffaele Giglio (a cura di), Le parole di una vita. Gli scritti giornalistici, Phoebus Edizioni, 2007, € 55,00
2 Fatti di camorra, Iod, 2015, € 12,00
3 Raffaele Sardo, Giancarlo Siani. Il ragazzo che amava la vita, Iod, 2018
4 Geppino Fiorenza (a cura di), La rivista dei giornali, Iod, 2016, € 20,00
5 Daniela De Crescenzo, La mia verità su Giancarlo Siani ne parlai e venni trasferito, in Il Mattino, 21 settembre 2018, pag. 35.
6 Salvatore Dare, Vi racconto Siani Voce libera nella città omertosa, in Metropolis, 21 settembre 2018, pag. 3.
7 Vincenzo Sbrizzi, Giancarlo Siani non fu ammazzato dai Nuvoletta in NapoliToday, 21 settembre 2018.
8 Regina Ada Scarico, Omicidio Siani 33 anni dopo, il generale Sensales: vi racconto la mia verità, in Cronache della Campania, 21 settembre 2018.
9 Francesco Gaetano Caltagirone, La memoria di Siani nella storia del Mattino, in Il Mattino, 27 settembre 2018.