
LA FORZA DELLA PAROLA, ANCHE FUORI DAI CORTEI
La Repubblica riconosce il giorno 21 marzo quale «Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie». Questo è quanto recita la legge 8 marzo 2017, n. 20.
Ieri in tutta Italia, dunque, si è celebrata questa importante giornata e in più di una occasione si sono tenute delle manifestazioni organizzate anche da realtà associative ben strutturate e finanziate anche con soldi pubblici.
Per molti anni ho partecipato, anche contribuendo all’organizzazione ad alcune di esse. L’ho fatto con passione e impegno. Poi, già da un po’, ho smesso di mettermi in corteo e sfilare, sbandierando un qualche vessillo colorato, per manifestare il mio disappunto contro le mafie e i mafiosi. Ho smesso di unirmi al coro annuale non perché ritenessi inutili questi momenti, anzi tutt’altro. Sono uscito dal coro semplicemente perché spesso, in queste occasioni, mi sono trovato accanto a coloro che “se la mafia non ci fosse la si dovrebbe inventare”. E allora ho detto basta perché mal sopporto le ipocrisie e ancor meno tollero quei professionisti del bene, che in un modo o nell’altro, finiscono per fare il proprio bene, naturalmente.
Si può combattere ed essere contro le mafie anche senza accodarsi, facendo il proprio lavoro onestamente. E da qualche tempo, dopo aver combattuto le organizzazioni criminali stando all’interno degli apparati della Polizia, il mio lavoro è quello della scrittura e con essa provo a trasformare i drammi in memoria. E siccome la mia narrazione è quasi tutta incentrata sulle storie delle vittime innocenti delle mafie, spesso, non solo il 21 marzo, ma quasi ogni giorno dell’anno, sono chiamato a tenere degli incontri, a dibattere con giovani e meno giovani sulle questioni delle mafie e sugli effetti negativi che esse producono sulla società e sulle giovani generazioni in particolare. Lo faccio, senza chiede gettoni di presenza, senza pretendere in anticipo l’acquisto di un certo numero di copie dei miei libri. Lo faccio e basta. E per fortuna posso farlo, perché vivo, anche se modestamente, del frutto del mio precedente lavoro, a differenza di molti che un lavoro non ce lo hanno mai avuto, se non facessero il mestiere dell'antimafioso di professione non avrebbero di che vivere.
«Le parole funzionano», ha detto qualcuno da qualche parte. E che le parole contro le mafie funzionano l’ho sperimentato in ogni incontro che ho tenuto, come i due che ho avuto proprio il giorno del 21 marzo, quando ho incontrato prima i ragazzi della scuola di Linarolo e poi quelli della scuola di Belgioioso in provincia di Pavia. Qui sono vento a portare una storia di resistenza alla camorra, che ho raccontato nel libro A testa alta - Federico del Prete: una storia di resistenza alla camorra , che ha ispirato il film per la Rai Tutto per mio figlio.
Qui ho incontrato dei ragazzi che sapevano già molto di mafie, delle loro vittime innocenti e delle storie di antimafia nate lontano da loro. Ed è qui che ho ancora una volta appreso come siano proprio questi ragazzi ad insegnare – con le loro domande, tutte pertinenti – anche a me quanto potere hanno le parole e che tutti noi abbiamo gli strumenti per combattere, per scendere in battaglia contro le mafie. E questo accade quando, anche in un territorio in cui le mafie sono meno avvertite, ma ci sono lo stesso, i ragazzi sono guidati, formati, sensibilizzati da un gruppo di buoni maestri (è sempre una questione di buoni maestri), come le loro professoresse e il loro dirigente. Sono Alessia Cellè, Loredana Brengola, Francesca D’Adduzio, Laura Garegnani, Linda Penna, Giulio Cicala, il dirigente Luigi Gaudio e tanti altri loro colleghi.
Sono questi i ragazzi, queste le persone che preferisco incontrare, questi i posti dove trovo soddisfazione ad andare, anche il 21 marzo, il giorno in cui si ricordano tutte le vittime delle mafie.
Da uno dei miei viaggi,
Paolo Miggiano