
QUANDO SBATTERE LA VITTIMA ECCELLENTE IN PRIMA PAGINA AIUTA A STARE IN VETRINA
È sera, di un giorno di quasi primavera. Il sole è appena tramontato. Nelle viuzze del centro storico di una grande città del Sud, il traffico è come sempre caotico. Un groviglio di auto, di scooter che sfrecciano in tutte le direzioni. In un’auto, incolonnata nel traffico, ci sono un ragazzo e una ragazza. Ascoltano la musica, discutono, forse si accarezzano le mani. All’improvviso il rumore di uno scooter.
È troppo vicino all’auto dei ragazzi. L’affianca. A bordo altri due giovani. Quello seduto al posto del passeggero estrae una pistola. Non prende neanche la mira e spara. Una, due tre, quattro fiammate simultanee ad altrettanti colpi secchi. I colpi sono indirizzati al ragazzo che viene ferito gravemente. Poi il caos, il fuggi - fuggi. La ragazza, rimasta illesa, terrorizzata, chiede aiuto. Qualcuno carica il ferito in auto e, in una folle corsa, raggiunge il più vicino pronto soccorso, scarica il ferito e si dilegua. I medici, cercano di rianimarlo, ma non ci riescono. Il ragazzo muore.
Quante volte abbiamo visto uno scenario come questo a Napoli? Tante, troppe volte e tanti ragazzi sono morti più o meno così. E pare che ad essere davvero preoccupati siano in pochi e ancor meno sono quelli che mettono in campo una qualche iniziativa affinché questo non accada più.
Così, la sera del 15 marzo del 2025 è toccato ad un altro giovane. Si chiamava Emanuele Durante ed aveva appena vent’anni. Anche Emanuele era in auto, in compagnia di una sua coetanea ed è stato ucciso in Via Santa Teresa degli Scalzi, a due passi dal Museo Nazionale di Napoli. I sicari gli hanno sparato a bruciapelo e non gli hanno lasciato scampo e anche per lui la corsa al pronto soccorso del Vecchio Pellegrini non è stata sufficiente a salvagli la vita.
Ed ecco che un altro giovane di questa città se ne va così, massacrato dai colpi di pistola di un altro giovane. Non si conoscono ancora i dettagli, non si conoscono gli autori, né i motivi dell’agguato mortale, ma in poco tempo la notizia fa il giro dei media, diventa virale sui social. Indignazione, prese di posizione che solitamente durano il tempo di un’alba, poi tutto passa e si aspetta il prossimo morto ammazzato.
Ma questa volta la notizia ha un motivo in più per viaggiare sui social e sono in parecchi ad approfittarne per prendere qualche like in più. Sì, questa volta il giovane ammazzato ha un cognome diventato famoso, non solo a Napoli. E il merito non è stato certamente suo. Come spesso accade in questa città il merito - ma sarebbe meglio dire la colpa - di rendere famose, in certe circostanze, le persone è della camorra. La storia del suo cognome, quindi, ha avuto un’eco mondiale, da quando Annalisa Durante, figlia del fratello del nonno rimasto ucciso (quindi cugina di terzo grado), una sera di primavera del 2004, fu uccisa a Forcella perché si trovò sulla traiettoria di un proiettile, esploso da un rampollo del clan Giuliano nel corso di uno scontro con altri giovani del clan Mazzarella, per il controllo della piazza di spaccio nel rione.
Quindi, in assenza di notizie certe sull’agguato al giovane Emanuele Durante, la notizia diventa che egli è legato da un rapporto di parentela con la giovane Annalisa uccisa ventuno anni fa. Sin dalle prime ore sui siti on line dei quotidiani, sui tg nazionali (alcuni con notizie del tutto sbagliate, circa il pentimento del padre dell’assassino di Annalisa, confondendo il padre con lo zio – questo sì collaboratore di giustizia - che hanno lo stesso nome) e sulle bacheche dei social media hanno cominciato a campeggiare le foto del giovane assassinato associate all’immagine di Annalisa. Che motivo c’era di fare questo tipo di associazione? Certo, non sarebbe stato neanche del tutto corretto trascurare nei resoconti questo lontano legame, ma la deontologia professionale avrebbe dovuto impedire che la lontanissima parentela divenisse la notizia. E questo si sarebbe potuto evitare, tenendo presente un semplice elemento: questo ragazzo è nato un anno dopo (1° marzo 2005) il drammatico assassinio di Annalisa Durante (27 marzo 2004). Si dice spesso che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, figuriamoci se possono avere una qualche influenza vite distinte e storie che non si sono mai incontrate. Movente e dinamica della morte di Emanuele non hanno alcuna attinenza con la storia della vittima innocente più famosa in Italia e persino nel mondo, ma la morbosità di molti ha permesso di sbattere ancora una volta e per motivi diversi, in primo piano, la faccia di Annalisa.
Ma l’appropriazione indebita del cognome di Annalisa è storia vecchia e risale esattamente a ventuno anni fa e anche in questa occasione si è approfittato di una tragedia (anzi di due tragedie, perché la morte di un ragazzo a vent’anni è sempre una tragedia). La memoria di Annalisa non è minimamente intaccata dall’assassinio di un ragazzo in qualche modo imparentato con la sua famiglia. Si tratta di uno sciacallaggio che si perpetua sin della morte di questa ragazzina. Non devo ripercorrere qui il lungo elenco di coloro che della tragedia di Annalisa ne hanno approfittato. L’ho fatto, chiamandoli con nome e cognome, nel libro Ali spezzate – Annalisa Durante morire a Forcella a quattordici anni, dove tra l’altro sono elencate le numerose distrazioni sociali e la colpevole assenza dello Stato, in tutte le sue articolazioni.
E se i media e i leoni da tastiera non hanno trovato di meglio che associare i cognomi di due persone così lontane, non sono mancati altri soggetti che, pensando di fare cosa buona e giusta, sono intervenuti, finendo con lo sconfinare nella stessa operazione mediatica. Da qualche parte ho letto che un esponente della cosiddetta antimafia – quella che è in ogni dove per non essere da nessuna parte - scrive una lettera privata al padre di Annalisa, dove lo rincuora, rassicurandolo che, davanti alla morte del suo parente, il lavoro che egli in questi anni ha realizzato nella biblioteca, non deve viverla come una sconfitta. Il problema è che la lettera è talmente privata da essere inviata via social. Di solito dai pulpiti si arringano le folle con dei salmi e qui siamo di fronte a dei veri professionisti. E il sermone parla di una biblioteca che accoglierebbe migliaia di persone. Numero che a me, che spesso ho frequentato quel luogo e che ben conosco le pur meritorie attività, francamente non mi sembra verosimile. L’esagerazione a volte aiuta a sostenere le proprie tesi. Il solito sermone che prova a giocare con la frase ad effetto, piuttosto abusata, dei vivi che puzzano di morte . Più di uno ha parlato di vicinanza al padre di Annalisa. Vicinanza di cui probabilmente in questa occasione non servirebbe, ma è utile manifestarla per conquistare un posto nella vetrina del ci sono anche io.
Qualcun altro, aggiungendosi ai commenti, si domanda se la cultura possa ancora servire a salvare le anime - come spesso dice il padre di Annalisa - auspicando maggiori sostegni per la stessa biblioteca. Certo che la cultura è necessaria, ma da sola, in una città assuefatta e violenta, non basta. Ci vorrebbe altro, molto altro e una biblioteca in mezzo al degrado, al disordine, all’illegalità e all’indifferenza può fare davvero poco, come poco possono fare certuni professionisti del bene che all’impegno concreto preferiscono i riflettori, i palcoscenici e il luccichio dei lampeggianti.
Paolo Miggiano