Battista, come in una scatola di alici e le catene spezzate
Metti un sabato sera a cena in un ristorantino di Santa Lucia, a pochi metri dal palazzo della Giunta Regionale della Campania. Metti una sera a cena nella sua veranda con una grande vetrata che offre la vista a Santa Maria della Catena, la chiesa fatta erigere dalla gente di mare nel 1576 e dove è custodita la tomba dell’Ammiraglio Francesco Caracciolo, Ufficiale della Real Marina del Regno di Napoli, che fu condannato a morte perché scelse di aderire alle idee repubblicane della rivoluzione partenopea del 1799 e, in nome di quegli ideali, combattere contro il Re Borbonico e i suoi alleati inglesi: la prima vittima della violenta repressione anti-repubblicana.
Metti una sera a cena al Borgo antico, un elegante ristorante del quartiere di Santa Lucia a Napoli (gestito dal tifosissimo del Calcio Napoli, Marco Varriale), a due passi dai lussuosi hotel di via Caracciolo e finisci per imbatterti nella storia di Battista che lì è il pizzaiolo tutto fare.
Per tutti, il pizzaiolo del ristorante è Battista, ma il suo vero nome è Semar Malek ed è nato in Algeria, il più grande stato di quel mondo arabo che si affaccia sull’altra sponda del Mediterraneo. Viene dalle steppe e dal deserto del Magreb, il simpaticissimo pizzaiolo del Borgo antico.
In Italia, Battista ci è arrivato con un regolare passaporto. «Non clandestino. Non con i barconi», tiene orgogliosamente a precisare, in un italiano un po’ zoppicante, intervallato da un altrettanto zoppicante dialetto napoletano, mentre ceniamo e conversiamo con lui.
I governi italiani che negli ultimi anni si sono succeduti hanno stretto accordi con il governo algerino affinché le risorse minerarie del paese dal quale viene Battista ci aiutino a uscire dalla crisi energetica dovuta al conflitto Russia – Ucraina e che sta attanagliando le economie dei paesi dell’Europa occidentale. Ma nella storia e nei tempi più recenti, l’Algeria, i paesi dell’Africa e del mondo arabo, il Magreb e non solo, quanto capitale umano hanno trasferito dalle loro coste alle nostre e a quelle dei paesi europei? Battista è solo un esempio di quel capitale che da molti anni lascia il proprio paese, i propri affetti, le proprie famiglie, i loro cari per trasferirsi altrove alla ricerca di un futuro incerto, ma migliore.
Nato in una famiglia di diciotto figli (dieci maschi e otto donne), la vita di Battista e dei suoi fratelli in Algeria non era per niente facile. «Vivevamo tutti e venti in due stanze, dormivamo come in una scatola di alici. Neanche i vestiti che avevamo bastavamo per tutti ed eravamo costretti a scambiarli tra noi», dice Battista, mentre stappa una bottiglia di Greco di tufo, perché al Borgo antico si servono solo vini campani.
Aveva solo diciassette anni quando Battista, nel 1982, giunse a Napoli. «Mio padre – che ora non c’è più – e mia madre Baia erano molto poveri e non potevano badare a tutti noi. Non avevano le risorse economiche per sostenerci, farci studiare e in Algeria il lavoro era povero. Mio padre, Salem, faceva lo chef nelle caserme dell’esercito, ma quello che guadagnava a mala pena bastava per le esigenze primarie della famiglia. Così, io e altri miei tre fratelli, decidemmo di venire in Italia».
Quando Battista e i suoi fratelli giunsero qui, Napoli e la Campania erano state devastate dal terremoto, ma lui si diede da fare e tra le macerie materiali sociali di una città quasi allo sbando e così complessa, trovò un’occupazione. La trovò in un ristorante di Pozzuoli come lava piatti. Ben presto, però, rubò il mestiere a Pasquale, l’anziano pizzaiolo che gli insegnò a fare le pizze meglio di come sapesse farle lui.
Quando, a 25 anni, giunse al Borgo antico, il vecchio proprietario, trovandosi in difficoltà, licenziò tutti gli altri lavoranti, ma tenne con sé Battista. Si era fatto ben volere e non fu licenziato come gli altri. La stessa cosa accadde quando la gestione del ristorante passò di mano per giungere in quelle dell’attuale gestore. Anche Marco Varriale, rilevando il locale, operò una sorta di ristrutturazione che comportò il taglio di alcune figure professionali, ma anche lui tenne con sé Battista: era diventato il pizzaiolo titolare del Borgo antico.
Battista ha abbandonato l’Algeria, ma non ha smesso di avere fiducia nel futuro e, come suo padre, non ha avuto paura di costruire una famiglia numerosa. Ora ha cinque figli ed è nonno di due nipoti e anche lui è diventato tifoso del Napoli e con orgoglio – tra un antipasto e una gustosa orata al forno con le patate - ci esibisce le foto con tanti calciatori famosi che nel tempo sono passati dal ristorante dove lavora.
E non ha dimenticato neanche il resto della sua famiglia che è rimasta in Algeria. La madre, che alla morte del padre non ha ottenuto neanche un Dinar di pensione, ora vive con quei cento euro che ogni mese Battista non dimentica di inviarle.
Battista lavora onestamente da diciotto anni al Borgo antico. Egli non è diventato ricco, qualche disavventura lo ha pure colpito, ma lui sorride alla vita. Passate a trovarlo, oltre all’ottimo cibo, consigliato dal discreto direttore Giuseppe Musto, incontrerete lo sguardo e il sorriso di Battista e potreste anche rimanere stupefatti dal volo pindarico di una tazzina di caffè (questo però non ve lo svelo).
Battista lavora dirimpetto ad una chiesa dedicata ad una Vergine che, secondo alcuni, nel 1390 a Palermo, compì il miracolo di spezzare le catene di alcuni condannati a morte. Non riuscì, la Santa, a salvare l’illustre ammiraglio rivoluzionario che ora riposa sul suo altare. Non ha alcun ruolo neanche con la vita di Battista. Restano in comune le catene, quelle che l’onestà e la laboriosità di un ragazzo algerino, ha saputo spezzare. Le catene che molti disperati, come un tempo era lui , giungendo in Italia e in Europa per cercare un riscatto, non sono riusciti a spezzare, rimanendo impigliati nello sfruttamento e nell’alienazione della vita, nell’indifferenza di molti.