NAPOLI, SE HAI UN MALORE IN METROPOLITANA, RESTI LI’

NIENTE PRESIDIO SANITARIO. NEGLI ASCENSORI NON PASSANO LE BARELLE E NON POSSONO ESSERE TRASPORTATE SULLE SCALE MOBILI.

Con la linea uno della metropolitana di Napoli ogni giorno si muovono migliaia di persone. Io tra quelli. Se va tutto bene, nessun problema, ma se hai un malore? Ca ‘a Maronn t’accumpagn!

Sono abbastanza affollati i vagoni della metropolitana che verso le cinque del pomeriggio da Toledo porta alla stazione di Piazza Garibaldi. Mi faccio spazio, salgo. Mi metto in un angolo e leggo alcune pagine del libro “Un ragazzo normale”, che parla di certi supereroi. Il treno è partito da poco.

All’improvviso avverto una certa agitazione tra i passeggeri. Tolgo lo sguardo dalle pagine e subito sento più voci chiedere se ci fosse un medico a bordo. Mi sposto e vedo un ragazzo steso per terra, pallidissimo in volto. Mi avvicino e mi colpiscono le mani ancora più pallide del volto. È a terra, ma non è proprio svenuto, però sta male. Niente, nella nostra carrozza non c’è un medico. Un po’ agitati, attendiamo la prossima fermata per dare l’allarme. Il treno si ferma alla stazione Università. Qualcuno di noi scende ed avvisa il guidatore del treno che c’è un ragazzo che si sente male.

La voce si sparge. Intanto nel vagone arriva il guidatore ed un signore che pare sappia il fatto suo. Slaccia i pantaloni del ragazzo, gli fa domande, gli asciuga il sudore con il fazzoletto. È un medico, meno male! Intanto il treno è fermo e non si sa ancora bene che fare. Dico al guidatore: «Forse è meglio che faccia ripartire il treno e farlo giungere alla fermata di Garibaldi. Da lì sarà più facile far giungere un’ambulanza» Mi da retta ed il treno riparte.

Arrivati a Garibaldi, la maggior parte della gente scende. Rimaniamo in pochi accanto al ragazzo, compreso il medico che gli ha prestato i primi soccorsi. Dopo un po’, siccome sta per giungere un altro treno, prendiamo il ragazzo e lo adagiamo, con cautela, su una panchina della fermata Garibaldi. Gli uomini della vigilanza ci raggiungono e fanno defluire i passeggeri, che in casi come questi si incuriosiscono, vogliono vedere e qualcuno vuole dare una mano.

Mandano via quasi tutti. Sotto al tunnel rimane il personale della vigilanza della Metro, il medico, una ragazza che ha prestato il suo scialle al ragazzo che intanto si lamentava per il freddo ed io, che riesco a non farmi mandar via perché esibisco un tesserino che dimostra che sono stato un poliziotto.

Il medico fa delle domande al ragazzo. Si chiama Francesco. È di Salerno. Ha ventitré anni È preoccupato di dover prendere il treno alle 18:30. Un po’ confuso, ci dice che poco prima aveva donato, per la prima volata in vita sua, il sangue presso il camper che di solito staziona vicino alla stazione di via Toledo, davanti al cavallo di ferro e di aver bevuto solo un succo di frutta. Il ragazzo continua ad avere freddo e fa fatica a riprendersi, non riesce a stare in piedi.

Il medico che gli sta prestando soccorso pare sappia il fatto suo ed ai vigilanti consiglia di non chiamare, per il momento, l’ambulanza. Io non sono d’accordo, ma il mio punto di vista non vale niente. Intanto continuano ad arrivare treni e persone che giustamente ci chiedono cosa è successo. Il medico tiene sotto controllo la situazione. Al ragazzo diamo un sorso di acqua e zucchero. Francesco ha freddo, perché i convogli in arrivo spostano la massa d’aria e lui si lamenta. Chiedo ai vigilanti se alla fermata della metro ci sia un presidio medico. Mi rispondono: «No, qui non c’è un presidio medico.» Allora chiedo se hanno una barella, una lettiga, una sedia a rotelle per il trasporto infermi. Ci potrebbe servire per spostare Francesco in un luogo della fermata meno esposto alla massa d’aria spostata dai convogli. La risposta è: «Si, abbiamo una barella, ma non entra nell’ascensore.» «Bene, allora prendiamola e spostiamo Francesco.» dico rincuorato. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo, perché le barelle non possono essere trasportate sulle scale mobili. È vietato.

Allora se a Napoli, nella stazione della metropolitana più bella d’Europa, ti senti male nel tunnel sotto terra è un vero problema. O vai su con le tue gambe o resti lì. Incredibile davvero. Così suggerisco di prendete una sedia a rotelle. In questo modo possiamo far sedere Francesco e portarlo al riparo. Così arriva la sedia rotelle, una di quelle che si utilizzano negli uffici, ma Francesco non ce la fa a stare dritto. Sta ancora male. Si stende sulla panchina metallica e continua a star male e ad avere freddo. Per farlo parlare gli chiedo il numero di telefono di casa sua, il nome di suo padre. Può servire in caso di estreme conseguenze. Sono notizie che non serviranno, per fortuna.

Intanto da un altro treno in arrivo, scendono due ragazze, giovani. Si fermano. Sono medici anche loro, anestesisti. Parlano con il loro collega, misurano il battito cardiaco di Francesco, che continua a dire di avere freddo e di non riuscire a mettersi seduto e giungono alla conclusione che forse è il caso di fare intervenire un’ambulanza. Le due ragazze sono decise ed io tiro un sospiro di sollievo. Non ci mette molto tempo la squadra del pronto soccorso ad arrivare. Alle 18:05 è giù nel nostro tunnel. Domande, controlli, ma non hanno con loro nessuna barella: del resto sanno bene che non sarebbe servita. Decidono, quindi, di far giungere una sedia a rotelle. Intanto Francesco continua a stare male. Vomita. La preoccupazione aumenta. La sedia a rotelle medica arriva alle 18:25. Dieci minuti dopo salutiamo Francesco che va via con la squadra del pronto soccorso. Sono riusciti a metterlo seduto. Se fosse rimasto disteso, sarebbe rimasto lì.

Ho trascorso, con un gruppo di belle persone, più di un’ora al capezzale di Francesco, un ragazzo che neanche conoscevo. Poi ho ripreso il mio viaggio e le mie letture. Mentre leggo penso che a Napoli se hai un malore in metropolitana davvero ci vogliono certi super eroi oppure ‘a Maronn che ti accompagni.