Midaregami, capelli scompigliati.

Storia di una memorabile impresa aerea

“Vola solo chi osa farlo”, è stata la lezione che ci ha lasciato Luis Sepùlveda, lo scrittore cileno di “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare". “Vola solo chi osa farlo”, invita chi legge a riflettere sul coraggio. E chi vola di coraggio ne deve avere, per cimentarsi in una impresa così contro natura, vincere la forza di gravità e librarsi, leggeri, in volo.

Ricordo ancora l’emozione del mio primo volo. Ero seduto accanto al primo pilota, decollammo, prua inclinata al suolo di quarantacinque gradi, da un erboso campo di volo dell’aeroporto di Borgo Panigale di Bologna che scivolava veloce dalla pedana in plexiglass di un elicottero monomotore. Da Icaro ai voli spaziali degli uomini più ricchi del pianeta, passando per i fratelli Wright, volare in fondo è sempre stato il sogno dell’uomo e se quello di Sepùlveda è un volo metaforico che dice che tutti possiamo realizzare le nostre imprese, quelle per cui siamo nati o siamo semplicemente appassionati, se quel mio primo volo era un volo, a decollo radente, con uno degli aeromobili ben collaudati dal tempo e dall’esperienza, ci sono voli epici, che hanno lasciato il segno e di cui probabilmente ne abbiamo smarrito la memoria.

Per un lunghissimo tempo l’umanità ha sognato di conquistare il cielo e oggi l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione hanno reso sempre più agevole volare, tracciare rotte. Unire due punti su di una cartina geografica oggi è diventato un fatto che oltre all’uomo affidiamo agli strumenti di navigazione sempre più sofisticati e precisi, impiegando aeromobili che forniscono la massima efficienza e affidabilità. Ma nel 1920, quando a volare erano dei veri e propri pionieri, come stavano le cose, come si volava e quali erano le imprese che alcuni uomini valorosi, avvalendosi di rudimentali strumenti di controllo, compivano? Bene, uno spaccato di quanto fosse complicato volare a quei tempi ce lo offre Carlo Galiotto, pilota di professione, con la passione per la ricerca, che conosce molto bene quanto e come le tecniche di volo si siano evolute nel corso dell’ultimo secolo. Galiotto, unendo punti geografici di tutto il mondo, nella sua carriera di pilota comandante di vari modelli di aeroplano, di ore di volo ne ha accumulate ben 18.000. Carlo Galiotto è un pilota che non si è limitato solo a condurre aeromobili di qua e di là del pianeta, ma ha voluto cercare, approfondire le origini della sua passione per il volo. Così, cercando e ricercando si è imbattuto in una delle più formidabili imprese aeree compiuta cento anni fa e ce la restituisce in un’accattivante formula letteraria come la graphic novel. Midaregami, letteralmente “capelli scompigliati”, pubblicato dalla Rivista Aeronautica nel maggio 2020, è il dettagliato racconto di una impresa aerea epica, compiuta nel 1920 dai piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero e dai loro inseparabili motoristi Gino Cappannini e Roberto Maretto.

Nel 1920, per rinsaldare i rapporti commerciali e politici tra l’Italia ed il Giappone, due poeti-soldato, l’italiano Gabriele D’annunzio e il Giapponese Harukichi Shimoi, idearono un’impresa clamorosa, unire i due paesi con una trasvolata alla quale doveva partecipare lo stesso D’Annunzio che, date le vicende politiche del tempo, suo malgrado, dovette rinunciare alla trasvolata. Era da poco terminato il primo conflitto mondiale, con i suoi seicentocinquantamila morti, e il governo italiano sposò l’impresa. Un’imponente organizzazione che destinò a quel raid aereo ben ottantadue uomini, di cui venticinque ufficiali, undici biplani in tela e legno e l’appoggio logistico necessario che comprendeva due navi che fecero rotta verso l’India e la Cina, trasportando uomini del genio, soldati, aerei di riserva, motori e parti di ricambio. L’impresa prevedeva di percorrere diciottomila chilometri tra l’Italia e il Giappone in dodici giorni.

Il tenente Arturo Ferrarin, in quella impresa aerea, non era neanche contemplato, ma riuscì a farsi inserire come staffetta e, nel giro di pochi giorni, riuscì a far cambiare al suo motorista il motore, gli pneumatici e a far tappare i buchi sulla tela del biplano SMA-9 da addestramento che il cugino Francesco teneva fermo da mesi all’aeroporto di Centocelle e che gli prestò per l’occorrenza.

Fu un’impresa aerea memorabile, portata a termine non dai blasonati titolari, i quali durante la trasvolata furono costretti a rinunciare per vari problemi, ma da due staffette che erano partite con il compito di esplorazione delle tappe programmate.

Bufere di neve, nubi, ghiaccio, foschia, condizioni metereologiche proibitive, attraversamento di territori politicamente instabili, deserti, mari sconfinati, perdite di carburante, aerei abbandonati, questo il panorama che caratterizzò lo straordinario raid. Gli equipaggi degli aerei, partiti da Roma, uno dopo l’altro, si dovettero arrendere a incidenti, collisioni, guasti, manovre sbagliate, una delle quali, nel Golfo Persico, causò la morte del tenente Grassa e del capitano Gordesco.

Naturalmente, lungo la traversata non mancarono l’accoglienza che la gente dell’aria ben conosce, i paesaggi esotici e persino le avventure amorose per i nostri equipaggi che furono davvero poca cosa rispetto ai festeggiamenti che le autorità giapponesi riservarono agli equipaggi italiani, mentre in patria la loro impresa passava in secondo ordine fino ad essere del tutto dimenticata.

Degli undici equipaggi decollati nel marzo del 1920 dall’aeroporto di Centocelle di Roma, infatti, solo due Ansaldo SVA – 9, partiti il 14 febbraio, dopo mille peripezie, il 30 maggio riuscirono a raggiungere il cielo di Osaka, quindi quello di Tokyo e ad atterrare trionfanti, alle ore 14:25, tra le autorità ed una folla festante che li acclamava dal parco di Yoyogi. Erano gli SVA-9 di Arturo Ferrarin e Guido Masiero. Con loro giunse a Tpkyo anche una copia dell’Alcyone (il libro con il quale il Vate volle celebrare l’estate ed il suo valore simbolico) che Harukichi, il poeta giapponese che con D’Annunzio aveva concepito la trasvolata, consegnò a Ferrarin con una dedica dello stesso poeta italiano, tradotta in giapponese da consegnare alle altezze reali dell’impero giapponese. Da quel giorno, l’Italia e il Giappone furono collegati da un volo da record. Un legame che si manifestava anche attraverso Midaregami, un libro di poesie che l’imperatrice Teimei diede in dono al tenente Ferrarin, quale segno di riconoscenza del suo popolo.

“Combattiamo … uccidiamo … veniamo uccisi … eppure sogniamo. I sogni ci fanno vivere e forse rivivere”, scrive Carlo Galiotto e, insieme ai disegni di Francesco Arcidiacono e i colori di Giovanni Panarello, senza tralasciare il lettering di Emanuele Salvati, come in una sequenza cinematografica, ci riconduce nelle atmosfere dei voli di quel tempo antico, quello dell’inizio del Secolo breve, quando si volava affidandosi a degli aerei in legno e tela, per lo più rattoppata, dotati solo di altimetro, contagiri, termometro temperatura dell’acqua e manometro della pressione dell’acqua e della benzina, ma non di una bussola, che Ferrarin fece montare di proposito sul suo SVA-9. Si univano i punti su una cartina strappata dall’atlante del Touring e si sognava un sogno che con le pagine di Midaregami ora riviviamo, volando con i nostri valorosi aviatori dimenticati, perché “in volo … chi vola vale”.

di Paolo Miggiano