Il welfare della “camorra nostra”, più efficiente di quello dello Stato

Perché il clan Nuvoletta - Polverino – Orlando, per trentacinque anni hanno sostenuto economicamente le famiglie degli assassini di Giancarlo Siani?

Nel 2018 ho pubblicato per la casa editrice polidoroeditore.it il libro “ NA K14314. Le strade della Méhari di Giancarlo Siani” nel quale, al capitolo “Viaggio nelle zone d’ombra”, dopo aver analizzato molte carte giudiziarie sul caso Siani (il giornalista fu ucciso il 23 settembre del 1985), ho formulato diverse domande, che a mio avviso ancora non hanno ottenuto risposta.

Con le notizie che sono trapelate in seguito ad un’importante operazione giudiziaria congiunta delle Procure di Napoli e di Torre Annunziata contro numerosi esponenti dei clan di camorra Nuvoletta, Polverino e Orlando, legate tra loro e da lungo tempo affiliate alla mafia siciliana dei corleonesi, apprendiamo qualcosa che già sapevamo (anche se qualcuno sembra scoprirlo oggi, nonostante fosse scritto in ogni saggio che affronta le questioni di mafia e camorra) e cioè che il welfare criminale è un fatto concreto e che funziona meglio di quello dello Stato. Ma l’inchiesta ci obbliga a farci ancora un’altra domanda la cui risposta potrebbe cambiare certi scenari.

Il rinvenimento, durante le perquisizioni, di alcuni registri contabili sui quali i clan annotavano le loro uscite avrebbe rivelato che la “camorra nostra” avrebbe sostenuto sino ai giorni nostri le famiglie degli assassini del giornalista Giancarlo Siani, trucidato la sera del 23 settembre 1985.

Per ben trentacinque anni, dunque, il sodalizio criminale avrebbe sostenuto, con un vero e proprio vitalizio mensile, le famiglie di Ciro Cappuccio e Armando Del Core, entrambi condannati in via definitiva all’ergastolo (e mai pentiti), perché riconosciuti come gli esecutori materiali dell’omicidio del cronista de Il Mattino. Dai libri contabili sequestrati emergerebbe che sarebbero stati prima i Nuvoletta a farsi carico del welfare familiare dei due condannati all’ergastolo e che poi tale incombenza sarebbe stata posta a carico dei Polverino e degli Orlando (leggi anche https://www.ladomenicasettimanale.it/2020/05/26/perche-la-camorra-ha-garantito-per-35-anni-un-assegno-mensile-ai-familiari-dei-killer-del-cronista-giancarlo-siani/?fbclid=IwAR3R_8HR3unODDEecR_nI-HFA4lzfmoCf-IR1CkynNiKUFCUEPxN0NaxBK4 ).

Io non sono più un investigatore, per qualcuno non lo sarei mai stato (anche se alle pareti del mio studio sono appese le pergamene di una laurea in Scienze delle investigazioni e di un master in criminologia), ma leggo tra le righe le carte e assemblo parole e già quando scrissi il mio libro molte cose non mi quadrarono e, senza affezionarmi a nessuna tesi, formulai delle domande, per provare a diradare le nubi sul caso Siani. L’inchiesta odierna ci dice che probabilmente ci avevo azzeccato: il caso Siani potrebbe presentare ancora dei punti oscuri, delle zone d’ombra. Staremo a vedere, ma di seguito voglio riportare alcuni passi del mio libro, che in qualche maniera si collegano alla domanda di oggi:

“[…] Nell’ottobre del 2013, Angelo Nuvoletta è passato a “miglior vita”. Naturalmente in questo Paese, quando muore un boss di un certo calibro, come era Angelo Nuvoletta, i media ne danno molto rilievo, come se fosse morto un capo di Stato. Anche alla morte di Angelo Nuvoletta i giornali scelgono di dare ampio spazio. […]

Certo, come era prevedibile, sui media trovano spazio le polemiche sull’opportunità dei funerali pubblici o meno, ma il giorno dopo, il 23 ottobre, nel mezzo delle polemiche, nel taglio centrale della prima pagina, il giornale che fu di Giancarlo Siani, titola: Il boss Nuvoletta alla figlia: “Stai fuori dal caso Siani”. Occhiello: Marianna racconta le ultime parole del padrino di Marano. Sottotitolo: «Volevo raccontasse la verità, lui con il delitto non c’entra [...]. Ieri la salma è stata cremata». Poi l’intera pagina di rimando dedicata alla morte del boss di Poggio Vallesana. A pagina 42 compare una lunga intervista a Marianna, una delle quattro figlie del defunto boss, realizzata non da un giornalista qualunque, ma da Maurizio Cerino. L’intervista è un “botta e risposta” tra l’erede del boss, che insiste nel ritenere il padre estraneo all’omicidio di Giancarlo, e il giornalista de Il Mattino, che invece ribadisce più volte che non è proprio così, che la verità è stata già scritta in una sentenza della magistratura. «Ho visto mio padre lunedì, era in punto di morte, e gli ho detto: “Papà, ora basta: non è giusto che tu debba pagare per questa cosa”. E lui come sempre mi ha ripetuto: devi starne fuori. [...]. Quando lesse questa cosa di Siani, mio padre rimase sconvolto. E mi ha sempre detto: stanne fuori, è una cosa più grande di te, ho paura che ti possa succedere qualcosa. Me lo ha detto anche in punto di morte». (Maurizio Cerino, Le ultime parole di mio padre: resta fuori dalla storia di Siani, in Il Mattino, Napoli, 23 ottobre 2017).

Quell’intervista, quelle parole mi colpirono molto. Se la figlia di Angelo Nuvoletta dice il vero, perché suo padre – uno dei più potenti boss della “camorra nostra”, mandante ed esecutore di numerosi omicidi, che come i corleonesi scioglieva nell’acido i cadaveri – in punto di morte, sente la necessità di avvertire la figlia di stare lontana dal caso Siani? Certo, lei dice di essere estranea alle logiche della sua famiglia – e io non ho alcun elemento per sostenere il contrario – e che addirittura il “padre non ha mai fatto la camorra” (su questo avrei molti elementi per smentirla), ma sempre da quell’ambiente proviene e quando qualcuno degli ambienti camorristico/mafiosi parla, non parla a caso, soprattutto se appartiene a certe famiglie di elevato spessore criminale. Lo fa perché deve mandare un messaggio, lo fa perché deve dire qualcosa a qualcun altro. Cosa voleva comunicare, ma soprattutto a chi parlava Marianna Nuvoletta, attraverso quell’intervista? Era un messaggio di rassicurazione o un avvertimento? Anche queste per me sono zone d’ombra.

Quanti segreti, dopo trentadue anni, rimangono ancora nascosti? […]”.

Ecco, a distanza di trentacinque anni, molti sono gli interrogativi che restano aperti e l’inchiesta odierna ne aggiunge un altro ed il caso Siani si infittisce ancora di misteri e di zone d’ombra. La sensazione è che la vicenda non sia ancora davvero chiusa.

di Paolo Miggiano