Se l’amore è molesto, non può chiamarsi così

Nelle trappole è semplice entrare, ma molto complicato uscirne. Sono luoghi insidiosi, quelli dell’amore malato o dell’amore molesto. Ma se l’amore è molesto, non può chiamarsi così.

Stella ha avuto una vita difficile. Sua sorella morì che lei non era ancora nata. Un incidente. Aveva solo dieci anni. Sui di lei si sono riversate angosce, risentimenti, sensi di colpa. Le diedero lo stesso nome. Stella restò un po’ lei, un po’ la sorella. Amore malato anche questo.
Incontrò Massimo, l’amore. Lo tenne stretto. L’avrebbe liberata dalle angosce, dalle paure, dai sensi di colpa che non erano i suoi. Non capiva se quello fosse un amore sano o malato. Ne restò imbrigliata.
Stella è colta, due lauree, parla più lingue, esperienze all’estero. Al contrario, Massimo non ha studiato, non legge, non si informa. Il mondo è altro da sé. Senza un lavoro. Non può funzionare. Nasce una bambina.
Massimo si rivelerà geloso e violento. Convinto che Stella fosse di sua proprietà, ma lei è una di quelle donne che si fanno più domande e che si sentono in colpa, anche per le reazioni violente di chi pensano di amare. Il suo è un amore tossico dal quale non riesce a liberarsi. È rimasta ancorata all’idea che aveva di lui, ma l’amore è finito.
È sera. Sullo smartphone di un amico arriva un messaggio. È un pugno nello stomaco: il ritratto di Stella con un occhio cerchiato. Un contorno occhio giallastro, scuro, tumefatto: «È stato Massimo. Un pugno, senza alcuna ragione».
Stella, con l’invio di quella foto, cercava aiuto. L’amico non può fare altro che dirle di andare al pronto soccorso e denunciare tutto alla polizia.
Non era la prima volta. Un mese prima le aveva rotto le costole. La picchiava, senza alcuna ragione, semmai ci fosse una ragione plausibile per picchiare qualcuno, per picchiare una donna.
L’amico convince Stella, ma il referto è inferiore a venti giorni e, quindi, la denuncia non sarà d’ufficio. E Stella non vuole denunciarlo, perché è convinta che la ammazzerebbe.
Percosse, occhi tumefatti, lacerazione di sé, foto inviate all’amico, pronto soccorso. Si arriva all’ultimo episodio. Ora la prognosi è superiore a venti giorni. Le lesioni non sono più un fatto privato.
Si aspetta che la Polizia la liberi dall’incubo. Passano i giorni e, mentre Stella si interroga se ha fatto la cosa giusta, dopo qualche settimana, ecco i poliziotti. Cercano Massimo. Lo trovano, gli ordinano di lasciare l’abitazione di Stella, di non avvicinarsi ai luoghi che frequenta. La legge farà il suo corso.
Massimo se ne va, ma la sera torna. Stella lo lascia entrare. Ancora sensi di colpa: «Dove passerà la notte? Non ha nessuno; è il padre di mia figlia. Forse sono davvero io la causa di tutto».
Ha paura e, mentre lui si aggira per la casa, Stella confida le sue angosce ancora al suo amico, che non può far altro che chiamare la Polizia. I poliziotti tornano e lo arrestano.
Avvocati, giudici, processi, condanne, carcere, solitudine, rimorsi. Altre emozioni, altri tentennamenti, altri sensi di colpa. Stella vorrebbe pace, ma qualcuno le chiede l’assenso affinché la pena sia scontata agli arresti domiciliari. Stella è rimasta umana e lo ha dato. Speriamo che non le costi troppo in futuro.

Ogni riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è meramente casuale.